– Oggi c’è un po’ il ritorno dell’one-off…
– Sì oggi si è tornati alla personalizzazione. Le auto storiche, le classiche vere avranno sempre più valore perché si tratta di numeri limitati. Nel nostro ambiente, io questo l’ho visto alla fine del mio rapporto con l’azienda. Quando ho smesso di lavorare per via del mio intervento al cuore, lo sapevano tutti che non facevamo più di cento, duecento auto all’anno. La gente faceva pazzie per averle. Quando abbiamo fatto le Ferrari F40 le Mans in numero chiuso, solo per correre, tutti i Ferrari Club ne volevano una. Gli scoop aziendali erano quelli e funzionavano eccome, nel senso che con il surplus economico di serie limitate, potevamo permetterci di mantenere un centro ricerche, un reparto esperienze. Sa cosa significa? Vuol dire avere la possibilità di fare innovazione, di puntare sulla tecnologia perché arriva sempre il momento in cui, la produzione pura e semplice, bisogna venderla a costi di mercato. Il valore di mercato dell’auto non sempre copriva il costo della ricerca. La verità è che in quegli anni c’è stata un’evoluzione molto rapida in breve tempo. Dal ‘65 al ‘75 si è rivoluzionato tutto. Per esempio quando hanno inventato l’idraulica sono state introdotte le pinze che hanno permesso di avere un apparato frenante sulle quattro ruote. Alcune vetture giravano con il triangolo rosso sul retro per segnalare: “stammi lontano che sono pericoloso perché io freno con quattro ruote, tu freni con due e mi tamponi!”. Lo stimolo che ha innescato la ricerca nel segno dell’innovazione in tutto il mondo dell’automobile sono state le corse…
– Ecco appunto fermiamoci e parliamo di corse! Lei, che allora era battilastra, quando ha iniziato a seguirle?
– Non c’è stata una cesura, le due cose sono andate di pari passo. Seguire le corse mi piaceva. Tra di noi ci si aiutava sempre! In seguito si preparavano tutti i pezzi doppi di carrozzeria, tutti intercambiabili, in modo che i meccanici fossero in grado di sostituire i ricambi anche senza il nostro intervento.
– In che hanno ha iniziato a seguire le corse?
– Nel 1965, seguivo solo le gare europee: come Le Mans, Mont Ventoux, Montlhéry, Hockenheim e le altre. Poi ho seguito tutta l’epopea di Sport, Prototipi, fino al 1972. Andavo come carrozzaio in appoggio ai box per smontare i musetti, cofani, parafanghi… Facevo assistenza come carrozzeria sia per la Scuderia Ferrari che per i clienti. A Le Mans cambiavo un parabrezza di una Ferrari P3 in 3 minuti. I piloti, per saltare dentro alle vetture spider, mettevano le mani sul parabrezza e sull’appoggiatesta e si calavano dentro. Era la partenza, c’era una forte tensione e tutte le volte rompevano il vetro. Al primo rifornimento dovevo cambiare il vetro: sei viti, due nastri adesivi e via. Avevamo inventato la cornice mobile con il vetro attaccato.
– Certo che ne avete fatti, di viaggi, ai tempi! Non doveva essere semplice: di sicuro non c’era l’organizzazione di oggi.
– Eh sì! Adesso c’è l’aeroplano, una volta andavamo via in sette col camion: cinque se ne stavano seduti dietro sulla panchina, tra cui il sottoscritto. Caricavamo tre automobili. Tutte le risorse a disposizione erano sfruttate al massimo. La bisarca ci faceva un doppio uso: come mezzo di trasporto e come ponte sollevatore. L’autista cambiava le gomme ai box, io carrozzaio aiutavo a fare le bronzine. In albergo si prendevano quattro letti per sette persone. Si ottimizzava, insomma: dormivamo in due nello stesso letto perché il carrozzaio lavorava di notte quando dormiva il meccanico e viceversa. Ci si dava il cambio.
– E a pasti, come eravate messi?
– Guardi, all’inizio ci facevamo bastare due panini con la mortadella, poi per fortuna è arrivato “Pasticcino”, che oltre a fare l’autista faceva anche da mangiare. Così avevamo dei pasti caldi… poi dipende anche da dove eravamo. In Inghilterra, per esempio, si mangiava malissimo.
– Immagino che visto il contesto e le pressioni, in quei viaggi scattasse una familiarità quasi da caserma.
– Eh sì, pensi che mi chiamavano genio e spregiudicatezza. “Furia” e “al mat Oscar”, in certi casi, con Mauro, abbiamo avuto delle pensate e delle improvvisate che hanno fatto veramente scalpore, tante piccole cose sui campi di gara. Lì ci voleva proprio il classico Eureka… tac!, l’illuminazione del momento. A volte si trattava anche solo di dare quattro martellate in una presa d’aria o due sforbiciate per allargare un buco: cose banali, ma che alla fine hanno portato a dei buoni risultati. Un anno, a Le Mans, Forghieri andò in ferramenta per comprare del lucido da scarpe che serviva come distaccante per i pezzi e indirizzai un meccanico in un cantiere navale a prendere una tanica di vetroresina e un rotolo di tessuto di fibra di vetro. Ho creato il pezzo di vetroresina su quello originale Ferrari e l’ho montato sulla vettura che aveva avuto un incidente nella notte tra sabato e domenica. Con le forbici ho tagliato le sbavature, poi con una scopa imbevuta di vernice rossa, io e Forghieri, abbiamo dato un colpo di rosso. Tutta una creazione estemporanea, insomma, ma la cosa ha funzionato e la macchina è ripartita. Ha corso dritta e filata per cinque ore prima di danneggiarsi e alla fine non è stato il mio pezzo a fare cilecca: l’auto si è semplicemente fusa. Quello, tra l’altro, è stato l’evento che mi ha fatto guadagnare dei punti anche nei box, perché è allora che hanno visto come ci davo dentro, quando lavoravo. Sembravo un uccello spennacchiato, con i fili di vetro addosso.
– Chissà quante gliene sono capitate… Ci sarebbe da scrivere un libro per ogni aneddoto!
– Mah sì, guardi. A volte anche cose da nulla, che però non si dimenticano. Per esempio, mia madre mi preparava sempre le valigie. Una volta ha sbagliato e ha invertito i bagagli. Mi son trovato in Inghilterra a battere i denti per il freddo, tanto che poi sono andato a comprarmi un giaccone. A Montecarlo, invece, dove faceva caldo, ho aperto la valigia e ci ho trovato dentro il piumotto! Povera mamma, lei le valigie le preparava in serie!
– A proposito di Montecarlo, ho letto qualcosa del suo viaggio di nozze durante il Gran Premio.
– Ho conosciuto mia moglie che avevo 10 o 11 anni. Andavamo nella stessa scuola elementare e in vacanza a Sestola. Con la Franchina abbiamo iniziato a frequentarci che io ero in quinta elementare e lei in terza: sa, ci si vedeva in cortile a giocare. Nel 1969 ci siamo sposati. Organizzammo la cena con tutti gli amici la sera prima delle nozze. Mio suocero aveva detto: “Invitate chi volete!” e noi lo abbiamo proprio preso alla lettera… ci ritrovammo in trecento persone e non c’era nessuno che gridasse “viva gli sposi”, perché non eravamo ancora sposati. Fissammo la cerimonia alle sei del mattino e dei trecento invitati non rimase quasi nessuno. C’era il prete con due occhi così, Franca, io, i testimoni e pochi altri amici e parenti stretti… ed è così che ci siamo sposati. Alle 7:00 partimmo per il viaggio di nozze, guidavo una 124 Spider Pininfarina, e via per Ginevra! Subito dopo sostammo a Hockenheim per il Gran Premio di Formula 2. Poi Parigi, guardo il calendario e dico “Mami, se stiamo qui tre giorni possiamo vedere la 1000 Km di Montlhéry”, lei mi risponde “No, dai facciamo i castelli della Valle della Marna e quelli della Loira”, va bene. Tiro dritto fino a Montecarlo, dove – guarda caso! – c’era il Gran Premio. Cosa vuole, sono andato direttamente ai box e lì mi chiamarono dentro, perché c’era un musetto che non si incastrava. “Franca, aspetta un attimo che arrivo subito” ho detto a mia moglie… e prendi gli attrezzi, smonta il pezzo, metti a posto. Alla fine un collaboratore della Ferrari, mi ha lasciato la sua camera prenotata all’Hermitage. Due piccioni con una fava! Ho visto il Gran Premio dai box e ho fatto contenta Franca.
– Insomma, anche in luna di miele non ce l’ha fatta a starsene con le mani in mano!
– Eh me ne sono capitate, di avventure! A Monaco una volta siamo finiti in prigione, Franca ed io. Il giorno prima ho incontrato un conoscente americano, aveva un concessionario Ferrari di prestigio, mi ha detto: “Su Oscar, prestami il pass che devo entrare per accordarmi su alcuni pezzi di ricambio”. Io glielo do e lui, puntualmente, la sera in albergo me lo restituisce. Alla mattina con Franca andiamo ai box e mostrando il pass l’omino mi ferma “Le laissez-passer n’est pas bon”, mi dice. Io lo guardo con gli occhi fuori dalla testa. Ma come? Me l’aveva dato la Ferrari! L’omino mi obietta che il pass non è originale e ci sbatte tutti e due in galera.
– Ma perché?
– Eh, il perché glielo spiego subito. L’americano aveva dato i pass originali a un intrallazzatore che aveva fatto stampare dei duplicati, saldati male, per poi venderli. Per errore a me era stato restituito uno dei falsi. Alla fine mi è anche andata bene, anche se nella cella vicino andavano giù di randello! Fortunatamente alcuni collaboratori Ferrari sono intervenuti, così alla fine ci hanno rilasciato… appena in tempo per veder entrare mio fratello e mia cognata!
– Ma no! Per lo stesso motivo?
– Sì, stessa storia. Poi dopo mezz’ora sono stati liberati anche loro.
Continua a seguire la storia Scaglietti: “Voglio fare una vettura” – Capitolo 5
Leggi anche:
Scaglietti: “Voglio fare una vettura” – Capitolo 1
Scaglietti: “Voglio fare una vettura” – Capitolo 2
Scaglietti: “Voglio fare una vettura” – Capitolo 3