L’inimitabile stella di Hollywood ha avuto una vita tanto spericolata da ispirare cantanti, registi e da affascinare generazioni di giovani. Terrence Steve McQueen nacque nel sobborgo di Indianapolis. Un’adolescenza difficile, trascorsa per strada e in riformatorio. Tre mesi in marina e poi vari lavori, piastrellista, gigolò, taxista, ciabattino… la svolta con l’iscrizione al corso di recitazione.
Ironico, ribelle, anticonformista, dolcissimo con i bambini, fu sempre convinto che nella vita ce la devi mettere tutta. Un grande appassionato di auto da corsa e moto: nel 1969 si iscrisse alla Baja 1000, poi partecipò ad altre corse in California, vincendo una Porsche alla gara dello Sports Car Club di Holtville, si ruppe la testa e un piede in una gara motociclistica. Steve e il suo compagno Peter Revson arrivarono secondi, ventidue secondi dopo Mario Andretti, alla 12 Ore di Sebring.
McQueen e Sturges decisero di fare “Le 24 ore di Le Mans“, il film sulle corse per eccellenza. La casa tedesca regalò una Porsche 908, utilizzata per alcune riprese, mentre Steve guidava una 917K. Il film fu un fallimento di pubblico, emotivo e finanziario anche se i critici ne lodarono le sequenze d’azione. Molto più fortunato, “Il rally dei campioni” del regista Bruce Brown, un documentario di grande presa drammatica. Il 2 ottobre del 1980 rivelò pubblicamente di essere affetto di cancro e il 7 novembre morì di arresto cardiaco, quando accadde possedeva 55 vetture, 210 motociclette e 10000 coltelli… Lo spirito generoso e irrequieto di Steve fu dissolto sul Pacifico, in un cielo sfumato di rosso.