Ronnie Peterson fu contagiato dal virus della velocità dal padre, Bengt, panettiere svedese che correva nel tempo libero.
Con il “Robardie”, il suo kart da corsa, si fece conoscere in tutta Europa. Nel 1966 disputò il titolo di campione del mondo, ma Susy Raganelli ebbe la meglio. Dai kart alla F3 con un mezzo preparato dai Peterson, ma non competitivo. I primi risultati di prestigio arrivarono nel ’68, campione F3 svedese, con la Tecno che lo confermò anche per il ’69. La March lo confermò pilota ufficiale per tre anni: in F2 non ha rivali e in F1, nel ’71, arrivò secondo a Monaco, Italia, Gran Bretagna e Canada.
Libero, nel ’73, tra le scuderie scelse la Lotus perché “era una casa vincente”. Non tutto andò per il verso giusto, difficilmente terminava le gare e con Fittipaldi c’era qualche incomprensione. Nuova stagione e nuovo compagno, Ickx, ma non fu un anno di grandi conquiste e nel 1975 Chapman ruppe gli accordi. Tornò alla March, un ’76 poco fortunato, anche se la vittoria a Monza rimane una delle pagine più belle della sua carriera. Ancora un cambio, anche se le cose non vanno meglio con la Tyrrell, una stagione costellata da ritiri e uscite di strada.
Nel 1978 fece ritorno alla Lotus, rispondeva ai requisiti che cercava: “Voglio una vettura che cammini come su delle rotaie e mi piace spingerla a fondo. Per vincere…”. Alla partenza del GP di Monza si consuma la tragedia. Le dinamiche dell’incidente sono state chiarite, ma non potranno mai restituirci il campione dei controsterzi!