È una giornata speciale, dopo il burrascoso temporale che ha annunciato l’equinozio d’autunno, oggi 23 di settembre, i raggi intensi del sole ci scaldano. Come dice il fotografo: sembra che tutte le persone siano disegnate dalla luce. Il giorno perfetto per incontrare il Maestro del design italiano: Marcello Gandini.
A Marcello Gandini è stato domandato tutto, numerose le interviste sia scritte che in video. Nel 2016 è stato pubblicato dalla Sen Gautam un’opera in due volumi “Marcello Gandini. Maestro of Design”; ottocento pagine per descrivere la sua carriera, con numerose immagini e un centinaio di disegni di suo pugno. Nel 2019 una mostra organizzata dal Mauto di Torino “Marcello Gandini. Genio nascosto.”
Secondo voi c’è qualcosa che è sfuggito nelle numerose domande?
Dopo aver ascoltato interviste, letto articoli ho deciso di non tediarlo con le solite domande: come nacque la Lamborghini Miura? La scelta è stata di godermi quest’occasione: incontrare il mio mito.
Dominare le emozioni, in casi come questi, proprio non si può. Per rompere il ghiaccio basta fare la prima domanda e la soggezione ha giocato da regina…
– Suo padre è stato un compositore e direttore d’orchestra, così ho pensato che lei avesse un imprinting musicale. Ho una visione, che fa parte del mito, la immagino nel suo pensatoio a disegnare con Wagner come sottofondo musicale. La matita scorre sicura sul foglio al ritmo della Cavalcata delle Valchirie e… traccia la Stratòs Zero.
– Mio padre faceva il musicista, fino a quando non ha avuto i cinque figli. La musica è stata la sua vita, è stato anche il direttore d’orchestra del Regio di Torino, prima che bruciasse. Suo padre, il nonno, l’aveva obbligato a prendere un paio di lauree oltre al diploma di conservatorio, nella vita non si sa mai. Si laureò in farmacia e in giurisprudenza. Dopo la nascita dei cinque figli scelse di fare il farmacista.
– Ascolta musica mentre lavora?
– Non sono proprio così appassionato di musica. Poteva essere ma, in realtà, sono stato in collegio dai Salesiani fin dall’età di otto anni… Essendo figlio di un musicista, a 4 anni mi hanno messo al pianoforte. Nel pomeriggio, quando gli altri giocavano oppure alla ricreazione, tra una lezione e l’altra, io dovevo studiare musica. Non potevo giocare al pallone, ma andavo a lezione da un maestro di pianoforte. Quello è stato il sistema per farmi odiare il pianoforte, sono stati anni di sofferenze. In realtà non ho bisogno della musica mentre lavoro, il silenzio è una bellissima cosa.
Il silenzio! Sherlock Holmes lo avrebbe dedotto già sulla strada che ci ha guidati al cancello d’ingresso dell’ex abbazia. È sufficiente osservare la posizione, lontano dal frastuono della città. Siamo ai piedi del monte Musinè, considerato il luogo del mistero, dove fantasia e magia si uniscono e si confondono. Numerosi i miti, le leggende e le storie di avvistamenti Ufo che hanno reso questa zona una meta privilegiata per gli amanti dei fenomeni paranormali. La casa è circondata da un parco rigoglioso, curato meticolosamente, e dal silenzio interrotto unicamente dal fruscio delle foglie, il cinguettio degli uccelli e il raglio di un asino.
Dopo una breve pausa Marcello Gandini ci parla della potenzialità espressiva dell’assenza di rumore.
– Il silenzio ha una forza incredibile e anche a fare cose a terra terra come disegnare un’automobile. Il silenzio è un qualcosa che coinvolge un po’ tutto. Un modo di pensare, di comportarsi, di concentrarsi, ci si mette in un atteggiamento nei confronti del mondo particolare per cui qualche ideuzza la tiri fuori.
Anche questa ex abbazia è propriamente il luogo del silenzio. Il cuore della casa è il magnifico chiostro e attorno ad esso si articolano l’abitazione e lo studio. Il chiostro ha nel centro un maestoso albero di olivo, la pianta sacra degli antichi Greci. La bellezza e l’armonia di ogni singolo elemento fanno assumere al luogo una forte valenza spirituale e mistica.
– Ha sempre vissuto qui?
– Sono 40 anni che vivo con la mia famiglia, in questa casa. Ci abbiamo messo quattro anni, o poco meno, per restaurarla. L’edificio nacque intono al 1000, era di proprietà dell’Abbazia di Sant’Antonio, lo fu fino alla fine dell’Ottocento. L’ordine dei Canonici regolari di Sant’Antonio di Vienne, di origine francese, si dedicavano alla cura degli ammalati di ergotismo o Fuoco di Sant’Antonio, tanto da farsi una grande fama e, soprattutto, una considerevole ricchezza. I cavalieri del fuoco sacro, lo curavano, o cercavano di curarlo, con il grasso di maiale.
Tant’è vero che avevano il diritto di lasciare pascolare le loro bestie in tutte le proprietà. L’abate priore viveva proprio in questa ex Abbazia. Dopo la bolla di Pio VI tutti i beni appartenenti agli Antoniani furono confiscati e destinati all’ordine De’ Santi Maurizio e Lazzaro. Furono questi ultimi, nell’Ottocento, a vendere questa casa a una famiglia privata.
– Come disse Pitagora “l’inizio della saggezza è il silenzio”
– Mentre se ti affidi a qualche stimolo esterno, la musica, circostanze o altro, non va bene. L’ambiente ha la sua rilevanza. Il fatto di essere soli di notte ha un suo fascino, per me. Ci sono delle musiche che ad ascoltarle mi appassionano, ma non ne ho bisogno per lavorare.
Quando arrivai alla Bertone ero praticamente solo però mi era venuta l’ambizione, pensa un po’ te, di fare un ufficio autonomo. I miei collaboratori erano persone molto simpatiche, alcuni di essi mi vengono ancora a trovare. Ricordo un ragazzo romano, era uno spasso. Ho una mia teoria sui romani, un romano: simpaticissimo. Due romani: insopportabili. Questo che lavorava con me era molto gradevole, con le sue battute spontanee e simpatiche… ma in certi momenti avrei gradito stare da solo.
Mi guardo intorno e penso al potere taumaturgico della natura, alla sua bellezza, alla sua importanza e anche alla sua magia.
– Correre in montagna è un po’ la mia passione. Un’abitudine che ho coltivato fin da ragazzo. Per un certo periodo della mia vita ho gestito un’azienda e bisognava essere in ufficio alle 8. Nonostante fosse un’aziendina piccola, circa cinquanta persone, per farla funzionare bisognava curare ogni persona. Quando si lavorava la domenica oppure la notte, c’ero sempre anch’io, anche per rispetto verso i miei collaboratori. Se volevamo portare a casa dei risultati bisognava prestare molta attenzione a consegnare un prodotto fatto bene e in tempi utili. Avevo instaurato – non proprio con tutti, quando hai a che fare con 50 personalità non è possibile – con alcuni un rapporto di stima e fiducia reciproca.
Ricordo un’occasione, dovevamo fare circa dodici prototipi della Mini, quelli che si fanno prima di avviare la produzione. Era circa il 1972, mi ero preso l’ impegno di consegnarne uno ogni 20 giorni. A memoria i primi due furono consegnati senza nessun problema. Con il terzo, invece, eravamo in ritardo. Alle 22, ho visto che era praticamente impossibile rispettare la consegna. Ho ringraziato tutti, ho detto “va bene ragazzi, pazienza per domani, sgarreremo di un giorno”. Mi sono avviato verso l’uscita e uno dei collaboratori mi rincorse e disse “se permette, noi vorremmo comunque provare”. Si erano consultati tra di loro e volevano provarci. Personalmente ero scettico, ma se loro avevano deciso così, allora era giusto farlo. E così che al mattino il prototipo fu consegnato. L’aiuto è venuto spontaneamente, non ho chiesto niente. Penso che se si imposta il lavoro in un certo modo, si possono avere delle soddisfazioni.
– Si dice che si raccoglie quello che si semina, vuol dire che i semi erano buoni.
– Queste cose sono molto piacevoli, forse sono anche il risultato dell’essere sempre presente, anche fuori orario. Non abbiamo mai avuto dei grandi problemi al Centro Stile, erano problemini. È capitato che andassi in ospedale a trovare i collaboratori, capisco che sono cose non indispensabili, ma se si vuole creare un bel gruppo bisogna farne parte e non soltanto comandarlo. Sono cose che fanno parte della vita da baracca.
Ricordo che quando me ne sono andato, abbiamo fatto una cena organizzata dagli operai in un ristorante, non so se erano un po’ bevuti, ma hanno incominciato a dire veniamo tutti dove va lei. Beh, ma se venite tutti allora sto qua io. È stata una cosa simpatica, anche quella.
– Poi ha raggiunto il suo obiettivo.
– Quando mi sono messo a lavorare da solo, nel mio studio, fin da subito è stata un’altra vita. È stata una bella esperienza quella di amministrare quella piccola azienda, ma sono stato anche ben felice di venire via, tutti saremmo diventati più vecchi e più barbosi. Il tipo di rapporto umano cambia con il tempo, ognuno ha il suo carattere e diventa sempre più difficile rapportarsi. Anche la confidenza man mano diventa sempre maggiore, sembra quasi come essere sposati, ed essere sposati con cinquanta persone è pesante.
Quando ci si accinge a lavorare, bisogna prepararsi un po’ all’idea per questo detestavo iniziare alle otto. Quando mi sono messo in proprio, circa quarant’anni fa, invece di svegliarmi presto per essere puntuale al lavoro, iniziavo facendo una corsa in montagna e per le 11 iniziavo a lavorare. Era un’abitudine molto piacevole e produttiva, penso che sia molto civile incominciare a lavorare verso le 11.
– C’era un momento della giornata in cui era più creativo?
– Ho sempre dormito abbastanza poco, due o tre ore per notte e, poi, scendevo nel mio studio. Trascorrevo alcune ore in compagnia dei miei tre cani, erano una famigliola di pastori tedesco. Loro mi stavano intorno, comodi sulle loro poltrone e mi osservavano: uno che lavora e gli altri guardano! In realtà dormivano beatamente. Era molto piacevole tutto questo.
– Il Design riflette la tendenza, il momento storico, quello che ci circonda… lei ha disegnato delle autovetture – come la Lancia Stratos Zero, la Lamborghini Espada – che danno l’idea non solo del futuro, ma proprio del viaggio spaziale… sono gli anni della conquista dello spazio.
– Si, questo ha avuto la sua importanza, devo ammetterlo. Io ero un appassionato, più precisamente direi coinvolto per queste cose. Mi ricordo lo sbarco sulla luna.
Era Il 20 luglio del 1969
– Restammo in piedi tutta la notte. Che poi non sbarcavano mai. C’era la voce di Tito Stagno che ci aggiornava, “sì sono atterrati, no, non ancora…”, così per tutta la notte, fino alla mattina. Non era tanto il fatto in sé che mi colpì. Però la luna era il sinonimo di qualcosa di impossibile, di irraggiungibile. Si può dire che era il sogno di tutta l’umanità.
Tanto che esiste l’espressione “Vuoi la luna?”. In merito all’allunaggio dell’Apollo XI, Neil Amstrong affermò: “Un balzo gigantesco dell’umanità”.
– Era l’idea che l’uomo con le sue misere forze andasse sulla luna. Com’era fatta la terra era già noto ai Greci, cinque secoli avanti Cristo. Eratostene da Cirene, fu il primo a calcolare la circonferenza della terra, utilizzando degli strumenti ridicoli: un’asta piantata per terra!
Aristarco escogitò un metodo per misurare la distanza della Luna e del Sole. Delle cose incredibili, pazzesche che hanno avuto su di me un fascino incredibile. Ipparco compilò il più accurato catalogo stellare dell’antichità con le coordinate celesti di oltre 1000 stelle. Tutto questo circa 200 anni prima di Cristo.
L’idea che l’uomo andasse sulla luna comprendeva tutto questo. Il progresso che c’è stato dopo il viaggio dell’Apollo XI, la vedo come una linea continua con il passato.
– Oltre alle letture Classiche, in quel periodo storico, anni ’65/’70 intendo, leggeva qualcosa riguardante i viaggi sulla luna, i viaggi spaziali?
–Sì, ancora prima del viaggio sulla luna pubblicarono un libro ben fatto, non ricordo più l’editore, in due volumi. Ricchissimo di illustrazioni, con delle descrizioni molto belle e poi, quando sono andati sulla luna, hanno fatto il terzo volume. Mi appassionava tantissimo.
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Intervista di Daniela Borrini
Fotografie di Angelo Rosa