Il domatore di lamiera
La moto, già. La passione per le due ruote, Tavoni ce l’ha da una vita. Quando ne parla, gli brillano gli occhi. “Ah, la moto… dà soddisfazione anche più della macchina, sa? Pensi anche solo quando andavo via, con la fidanzata di dietro che mi stringeva, stretta stretta. A volte venivamo giù dalle montagne con delle moto che non avevano né freni né gomme: cioè, le gomme c’erano ma sembravano gomme da bicicletta. Rischiavamo anche… però sentire motori come questi qui…”
Lo dice mettendo in moto un vero e proprio gioiellino: una moto azzurra che ha costruito interamente di suo pugno. Il rombo è potente, pervasivo. Riempie l’officina come una cascata. Tavoni tiene molto alla sua moto. Lui, che di cose per sé, ne ha sempre tenute pochissime.
– Ho sempre avuto l’abitudine, quando faccio delle cose, di darle via. Anche le moto.
– Perché?
– Ho capito che per me, quello è uno stimolo. Non ho più niente? Allora comincio a pensare a cosa devo fare di nuovo. Ho fatto tante moto Mondial e non ce n’era una uguale: certo, rimango sempre nell’ambito del marchio, della linea, ma ci metto ogni volta del mio. Il risultato, poi, come piace a me, piace anche agli altri perché vedo che fanno un po’ la lotta tra di loro per averle.
Lo blocco subito. C’è qualcosa che gli voglio chiedere dall’inizio. Entrando nell’officina di Tavoni, sono stata subito colpita da un articolo di giornale appeso alla parete a mo’ di quadretto. Il succo del testo, verte di fatto intorno a una domanda: Danilo Tavoni, artigiano o artista? Gli pongo l’interrogativo così, a bruciapelo.
– Si ritiene un artista?
Per tutta risposta, Tavoni si schermisce subito. Esattamente come mi aspettavo.
– No, mai. Io mi ritengo uno che sa quel po’ che ha imparato. Gli artisti sono quelli che fanno le sculture. Forse perché non mi sono mai sentito un “super”, un presuntuoso.
Ho sempre fatto quello che ho imparato. C’era gente che diceva “tu sei bravo ma io sono più bravo di te!”.
– Ok, va bene. Però un artista di fatto crea bellezza e lei produce bellezza.
– Bellezza! Io ho sempre lavorato a testa in giù. Non avevo tempo di pensare alla bellezza. La cosa che per me contava, quella che ha sempre contato, è il fatto di essere rispettato. Quando arrivavano Stanguellini, Ferrari, a guardare le saldature e dicevano: “quello lì, il piccolino c’ha due mani…!” ecco, allora sì che mi piaceva il mio lavoro.
– E ci ha sempre messo un po’ del suo. Dell’inventiva. O no?
– Mah, sa, più che altro da Stanguellini ho avuto dei buoni maestri… guardando loro si impara. Poi certo, uno deve essere predisposto e avere delle qualità. Ogni tanto arrivavano dei ragazzini che avevano delle idee ma io non sono mai stato così. Io ascoltavo. Me sum semper sté un giapones… guardavo e copiavo: come un giapponese.
Ma ormai è ora di pranzo e Tavoni è impaziente. Ordina le tagliatelle (la sua passione) e fa il pelo e il contropelo al lambrusco. Poi mi snocciola qualche episodio del passato remoto e mi racconta dei tempi di guerra. I tedeschi? Altroché se li ha conosciuti, i tugnitt… ne avevano anche dovuti ospitare due, proprio sotto il loro tetto. Bravi ragazzi, peraltro: avevano mitragliato un treno pieno di marsala all’uovo e ne avevano portate a casa due damigiane. Il fratello del padre, invece, ospitava nella stalla del suo podere un portinaio ebreo e le sue due figlie. Danilo, da piccolo, giocava nel cimitero ebraico e si era pure fabbricato una capanna fra le tombe. Tempi duri, tempi d’oro: la pasta, non la mangiava nessuno perché la farina era un lusso, ma in cambio si mangiava la polenta con le cotenne di maiale. E le cotenne, avevano ancora addosso “dei peli lunghi così”…
Parla concitato senza fermarsi un minuto, mentre sforchetta le sue tagliatelle.
E io, intanto, gli guardo le mani. Mani nodose. Da domatore.
A cura di International Classic, scritto da Martina Fragale
Fotografie: Tommaso Ferrari per International Classic © 2017
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